Prefazione a “L’ingenuo viaggiare” di Sergio Rubini

Quando fra Gianni mi ha chiesto di collaborare a questo progetto ho detto subito di sì. Gianni lo conosco da sempre, ancor prima che abbracciasse la vita religiosa. Sono legato a lui da un’amicizia lontana: i miei genitori conoscevano i suoi, si frequentavano –  senza contare che era l’amichetto preferito di mia sorella. Negli anni ‘70 le nostre famiglie hanno abitato nello stesso edificio e io, più vecchio di lui di una decina d’anni, me lo ricordo ragazzino correre trafelato su e giù per le scale, giocare sul balcone, azzuffarsi col fratellino… Già da allora sapevo della sua passione per la musica – cantava, aveva un gruppo – gli piacevano gli Style Council, Sergio Caputo… Poi io partii per Roma e della sua storia persi le tracce a parte la notizia, sorprendente, commovente, che aveva deciso di farsi frate. Negli anni a venire abbiamo avuto la cura di mantenere il nostro contatto e così ho avuto modo di conoscerlo più a fondo, di rendermi conto da vicino della partecipazione con cui ha interpretato la sua missione. È stata una vera lezione di vita per me seguire – anche se da lontano e per piccoli segmenti – la trasformazione del ragazzino di una volta nel pastore consapevole e appassionato che è diventato. Il suo sguardo però non è mai cambiato, gli occhi scintillanti, curiosi e sempre vivi sono rimasti gli stessi. Così come la sua passione per la musica. Mi immaginavo che la vita religiosa, i suoi mille impegni, avrebbero ridimensionato, se non spento del tutto, la sua indole artistica, invece no. Anzi! Gianni è riuscito a rendere la sua inclinazione di sempre organica alla sua vita pastorale, e questa è un’operazione straordinaria. Nelle sue canzoni mi sembra di ritrovare tutta la scoppiettante energia di un tempo sommata alla consapevolezza di cui la vita che conduce lo ha arricchito , il genuino stupore del fanciullo mescolato alla maturità di chi tanto ha visto e conosce e ha imparato ad accogliere. Il giorno in cui sono andato a registrare sono arrivato un po’ ansioso –  gli attori maneggiano con disinvoltura la finzione, il profano, mentre il sacro intimorisce, intimidisce. La situazione che ho trovato però, così autenticamente “artigianale” mi ha subito indotto a rilassarmi e i testi che ho letto, la loro schiettezza, lo sguardo sul mondo di cui sono intrisi, così limpido, carico di una luminosa promessa salvifica,  mi hanno preso per mano, e così quella sensazione di inadeguatezza ha lasciato il posto ad una emozione toccante che mi porterò dentro per sempre.

Sergio Rubini